Il processo di produzione
Macinazione del malto d’orzo
I grani di orzo e degli altri materiali che andiamo ad impiegare per produrre le nostre birre devono essere macinati prima dell’uso.
Questo perché solo dai chicchi macinati è possibile estrarre gli amidi che ci serviranno per produrre la birra. La fase di macinazione anche se sembra banale in realtà è piuttosto critica perché una macinazione non appropriata può causare diversi problemi al prodotto finale quali: aromi e gusti indesiderati, problemi di conversione della giusta quantità di amidi in zuccheri e quindi in alcool . Si possono utilizzare allo scopo diversi tipi di mulino (sia modificando vecchi mulini per la pasta che comprandone di appositi nei vari negozi per appassionati di birra) la cosa importante da verificare è che il mulino che decideremo di utilizzare non schiacci i chicchi sfarinandoli ma si limiti a romperne il guscio esterno lasciando intatto l’interno. Questa necessità di non sfarinare troppo i chicchi è data dal fatto che:
- le scorze dei chicchi sono fondamentali nell’operazione di filtraggio del mosto poiché vanno a comporre il cosiddetto “letto di trebbie” che è il vero e proprio elemento filtrante del processo di filtraggio e che non può essere sostituito in alcuna maniera;
- nelle scorze del chicco sono presenti sostanze indesiderate, ad esempio i tannini, che se sfarinate non verrebbero trattenute in fase di filtraggio e quindi arriverebbero nel mosto “rovinando” la birra.
Per ovviare al problema della sfarinatura dei grani, si adottana una tecnica di derivazione professionale che consiste nel bagnare i chicchi poco prima che vengano macinati.
Va precisato che non si tratta di mettere letteralmente a mollo i chicchi, ma di bagnarli con acqua pari al 3-4% del peso totale dei chicchi stessi.
Questo procedimento ha il merito di rendere più flessibili le bucce dei chicchi che tenderanno a spezzarsi, e quindi a sfarinare, con meno frequenza e quello di migliorare l’efficienza in fase di ammostamento e saccarificazione in quanto l’acqua va ad aumentare la solubilità degli enzimi presenti nell’amido dei chicchi.
Filtrazione della birra
Verificata l’azione degli enzimi della diastasi, ossia dopo che gli amidi sono stati completamente trasformati in zuccheri, è necessario filtrare l’impasto. Solitamente questa fase è realizzata con l’ausilio di un doppio fondo che, sostenendo le trebbie, permette al mosto zuccherino di essere filtrato sino a risultare privo di impurità. Per una più efficace azione, il primo mosto (più torbido) viene riportato nel tino filtro per sottostare ad una ulteriore filtrazione. Estratto il primo mosto, rimane imprigionata nelle trebbie una notevole quantità di zuccheri. Per recuperarli e quindi aumentare l’efficienza del sistema di birrificazione, i birrai sono soliti risciacquare con acqua calda due o tre volte le trebbie, recuperando nuovo mosto attraverso ulteriori fasi di filtrazione. Questa fase, concettualmente semplice, ricopre una certa importanza: è fondamentale evitare che le scorze/glumelle passino nel mosto e quindi alle fasi successive di bollitura causando un rilascio di tannini ed altre sostanze amare nella birra finita provocando indesiderati gusti astringenti.
Bollitura e luppolamento
La bollitura del mosto, successiva alla filtrazione, viene effettuata di norma per 60-90 minuti (alcune birrerie arrivano però fino a 250!) ed assolve diverse funzioni:
- denaturare gli enzimi ancora eventualmente presenti
- sterilizzare il mosto
- concentrare il mosto mediante evaporazione
- favorire (in taluni stili, come ad esempio le doppelbock) la creazione di “composti di maillard” per dare note di caramello e nocciola e, in funzione della presenza del luppolo in bollitura:
- favorire la coagulazione e precipitazione di proteine e polifenoli
- consentire la trasformazione degli alfa acidi del luppolo in iso-alfa acidi, responsabili della componente amara della birra.
Dal punto di vista organolettico, Il luppolo svolge sia una funzione amaricante, data dalla componente degli alfa acidi, che aromatica, data da beta acidi e oli essenziali. Come accennato la funzione amaricante può essere resa possibile solamente attraverso la solubilizzazione degli alfa acidi del luppolo per mezzo di una bollitura prolungata: per questo motivo le aggiunte di luppolo amaricante vengono effettuate all’inizio della fase di bollitura. Gli oli essenziali, responsabili dell’apporto aromatico, subiscono invece una rapida degradazione ed evaporazione in bollitura e il birraio tende ad aggiungere il luppolo da aroma al termine di questa fase (dopo 15 minuti dal termine della bollitura), ma anche in fase di trasferimento del mosto caldo (“hop-back”) o a freddo in fermentazione (“dry-hopping”) o addirittura in bottiglia o in spillatura.
Raffreddamento ed ossigenazione della birra
Al termine della bollitura il mosto contiene diverse “impurità” dovute a residui di luppolo e proteine coagulate; il procedimento più comune per la loro eliminazione è il sistema “whirlpool” ossia un metodo di movimentazione circolare del mosto che favorisce la decantazione delle parti solide in una unica area centrale del tino in cui il mosto viene temporaneamente posizionato. Il mosto viene poi trasferito verso i fermentatori e raffreddato attraverso uno scambiatore di calore sino alla temperatura adatta al tipo di fermentazione scelta (alta 18-25° C oppure bassa 7-15° C). Il mosto dopo la bollitura è però povero di ossigeno, indispensabile per una corretta fermentazione. Il birraio provvede quindi a reintegrare la quantità di ossigeno necessaria attraverso vari metodi, come l’insufflamento nel mosto di ossigeno puro o aria sterile oppure semplicemente con un arieggiamento meccanico (ad esempio con la caduta del mosto nel fermentatore da una certa altezza o il semplice rimestamento del mosto nel fermentatore). Il mosto è ora pronto per l’aggiunta del lievito e la fase di fermentazione.